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Liyana Badr

Autor von A Balcony over the Fakihani

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Über den Autor

Liyana Badr, a renowned novelist and short story writer across the Middle East, was born in Jerusalem and has herself lived through a series of exiles. Her works of fiction include one novel and three collections of short stories, as well as several stories for children. She currently lives in mehr anzeigen Tunisia weniger anzeigen

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The Anchor Book of Modern Arabic Fiction (2006) — Mitwirkender — 102 Exemplare

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La narrativa palestinese è in larga parte permeata dal ricordo. Per chi è un esule di prima generazione è quello di una terra che ha caratterizzato la propria infanzia e la giovinezza, per chi è figlio o nipote di chi se n'è dovuto andare, i ricordi sono quelli raccontati, affinché sia perpetuato in loro il concetto della terra perduta. Non solo, nella scrittura degli autori palestinesi è quasi una costante la sensazione di appartenere a più spazi, quello di una Palestina sovente vissuta come un luogo della mente o dell’anima e quello in cui si fondono le terre di un lungo viaggio che ripercorre, tappa dopo tappa, gli itinerari dell’esilio.

E’ così anche per questo “Le stelle di Gerico” di Liana Badr (edizioni Lavoro, 2010), un libro pubblicato la prima volta nel 1993 dove, in dieci capitoli, ognuno contraddistinto nel titolo da un elemento naturale a richiamare il concetto di “terra”, emergono e s’intrecciano i ricordi dell'infanzia e della giovinezza della protagonista, frammentati tra i mondi della sua vita, da Gerico a Gerusalemme, da Acri a Damasco passando per l’immancabile Beirut, il tutto condito da quel senso di struggente impotenza dinanzi all'incertezza di un ritorno alla Palestina. Scrittrice, poetessa e regista molto apprezzata per alcuni suoi documentari, Liana Badr è nata a Gerusalemme e cresciuta nella bella cittadina di Gerico, che dovrà lasciare nel 1967 per trasferirsi in Giordania. Da li, a causa dei tragici eventi del “settembre nero’ del ’70, troverà rifugio a Beirut dove sarà costretta a vivere il dramma della guerra civile libanese e la strage del campo profughi palestinese di Tel al-Zaatar del 1978. Con gli accordi di Oslo del 1993 riesce finalmente a tornare in Palestina per stabilirsi a Ramallah, in Cisgiordania, città nella quale ancora vive.

Il suo, in questo “Le stelle di Gerico”, è un mondo fatto di ricordi in cui persone, luoghi, profumi, sapori si fondono. Un rimescolamento che non segue una storia, una linea ben definita, tanto che nell’intreccio dei nomi, delle ricette in cui il ripieno di riso non manca mai, nell’accavallarsi di visi in cui la ruota del tempo alterna giovinezza e maturità, soffermandosi su rughe ed espressioni, chi legge rischia sovente di smarrirsi tra le righe. La scrittura ricca di dettagli, ma che al tempo stesso aspira ad evocare con troppa intensità emotiva al ricordo, rallenta spesso il ritmo della narrazione che si perde tra i vicoli coperti di polvere, tra i mercati, tra zie probabili ed improbabili, tra spezie e piccanti intingoli, tra amici e parenti, tra i disperati che cercano d’imbarcarsi su un bastimento fantasma alla volta della natia Palestina. Si smarrisce la via maestra e la sosta nella lettura, che dobbiamo spesso fare per ritrovare la bussola nella trama, rallenta e appesantisce enormemente la narrazione.

Aneddoti personali, caricature familiari, infanzia e adolescenza si mescolano a citazioni storiche, talvolta anche poco conosciute o perdute nell’oblio del tempo, ma si è molto distratti dal profumo delle spezie e dagli ingredienti, di cui l’autrice si fa garante, alla stregua del Gambero Rosso, sul fatto che i profughi continueranno ad utilizzarle nelle loro ricette, perpetuando la tradizione e la cultura di generazione in generazione, perché nulla vada perduto di quella loro terra, ancor più nella necessità e nella costrizione di dover vivere in un esilio a tempo indeterminato nella patria di altri. A tratti è tale la forza del ricordo che nell’autrice si fa strada un senso di inadeguatezza per ciò che, come donna, essa ora rappresenta in quella Palestina in cui vive e di cui scrive, quasi nel rimpianto di un mondo arcaico in cui l’essenza femminile era la famiglia, la cura degli affetti, un ruolo quasi nostalgico, in antitesi con l’emancipazione da ella stessa raggiunta oggi. Quasi che tutto ciò che ti è stato sottratto insieme alla terra sia parte di te, nel bene e nel male, in virtù della loro stessa mancanza. E ciò ha una forza immensa nel raccontare la Palestina come concetto.

“E tutti noi, che pure siamo andati lontano, conosciamo il significato degli eventi? Noi e la nostra gente rimasta a casa ci sentiamo tutti senza vita perché non potremo riabbracciarci finché dureranno l’occupazione, l’esilio, la separazione? Ho detto a quell’uomo di essere giunta alla mia quarta, quinta vita, e lui ha creduto che, nel paragonarmi ai gatti dalle sette vite, stessi vaneggiando” (da Le stelle di Gerico).

In ciò che scrive Badr si percepisce tutto il dramma di un’esistenza frammentaria e della necessità, costante e mai soddisfatta veramente, di unire i pezzi e dare loro una visione d’insieme. Un modo per ricordare i colori perduti, i profumi, i rumori e le parole, ma anche i progetti ed i sogni abbandonati, quelli che si sono persi nelle continue fughe, così come è stato per le vecchie fotografie. Ella li adagia nella carta e in tal modo rinfocola la speranza di poterli andare a riprendere un giorno, prima o poi. E con loro riprendersi la vita piena.

“Eccomi, papà, sono tua figlia! Sono la figlia che ha insegnato a suo padre. Mi fermo su questa spiaggia salata e scruto il tramonto, mentre il sole scende a poco a poco. Forse aspetterò le stelle. Le stelle di Gerico al termine di questa notte” (da Le stelle di Gerico).

Così come Susan Abulhawa usa la drammatizzazione degli eventi, Suad Amiry l’ironia, Liana Badr ricorre ad una prosa ricolma di poesia per raccontarci cosa significa essere e sentirsi palestinesi ieri, oggi e per sempre.
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½
 
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Sagitta61 | Dec 30, 2023 |

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