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Gloria Origgi

Autor von Meaning and Relevance

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"Ti hanno detto che il mondo è tondo e tu ci credi". Era una frase che mio padre, nato agli inizi del novecento, era solito ripetere spesso. Lui era un tipografo, uno "stampatore", come lo chiamavano in paese. Come lo era stato suo padre e gli altri suoi fratelli. Lui, le notizie le "creava", mettendo insieme le lettere sul compositore, riga dopo riga. In tipografia davano vita a quella che chiamavano la "forma", ci passavano sopra con un cilindro di caucciù l'inchiostro e il tutto veniva impresso sul foglio che dava vita alla "pagina". La "notizia" era pronta, così come era stata ordinata da chi l'aveva scritta, per essere servita a chi la voleva/doveva leggere. Lui non si curava tanto di chi gli diceva cosa stampare, nè tanto meno si chiedeva il perchè. Insomma non ne faceva una storia di "reputazione", come è il caso dell'autrice di questo importante libro da poco uscito sia in edizione italiana che in inglese.

Si tratta di dare un significato al senso della comunicazione contemporanea in tutte le diverse facce che la stessa assume a seconda del mezzo che viene usato per trasmetterla. I sinonimi ci aiutano a mettere a fuoco la dimensione semantica di questa parola. Sono molti e importanti da conoscere perchè, anche se ci mettono al sicuro dalle "fake news", ci espongono anche a quelle sono chiamate "fufale".

Un termine che segnala la sua forza comunicativa sia da un punto di vista personale che sociale. Anche per questo libro, che parla proprio di reputazione, vale il fatto che questa parola sta per considerazione, credito, fama, gloria, onorabilità, opinione, popolarità, nome, celebrità, decoro, etichetta, marchio, nomea, fiducia, stima, vaglia, buon nome, concetto, affermazione, prestigio ...

Siamo sicuri che chi ha scritto questo libro possiede la necessaria "reputazione" per dire quello che dice? Siamo sicuri che ogni qualvolta ascoltiamo, leggiamo, discutiamo una notizia abbiamo opportunamente controllato quello che diciamo? Su cosa poggia quello che questo blogger scrive cercando di capire quello che pensa? Possono sembrare domande oziose o filosofiche, ma qui siamo arrivati al punto che non soddisfa più l'ormai classico e tradizionale "Cogito ergo sum".

Con il solo fatto di pensare, mi viene il dubbio che non posseggo la necessaria "reputazione" di cui mi sto occupando. E' un paradosso poco apprezzato della conoscenza moderna in questa nostra epoca nella quale siamo tutti sempre più connessi. Più informazioni abbiamo a disposizione, maggiore è il nostro bisogno di sapere quanta "reputazione" hanno i mezzi ai quali ci affidiamo per raccogliere le informazioni.

Il paradosso è, appunto, ciò che ci crea questa grande mole di notizie a nostra disposizione. Non aumenta, anzi mette in pericolo le nostre conoscenze. Siamo, infatti, sempre più dipendenti da chi ci fornisce queste informazioni. Possiamo, allora, smettere di parlare di "età dell'informazione" e passare a quella della "reputazione".

Un'informazione corretta, affidabile e puntuale dovrà essere filtrata, valutata e commentata da chi ne possiede le dovute competenze. Il pilastro fondamentale della intelligenza moderna è questa affidabilità che crea la "reputazione" in una duplice direzione: reputazione per chi la distribuisce e per chi la riceve e ne deve/vuole fare uso.

Si possono dare alcuni esempi storici di questo paradosso i quali poi, nel tempo, si sono succeduti con l'accelerazione della tecnologia comunicativa, dando vita alle "bufale" o "fake news" che dir si voglia. Il "falso" è diventato, così, sempre più attraente del "vero". Diventa simile al "vero" per combattere il messaggio che porta con sè, con il risultato che il "vero" diventa "falso".

Facciamo alcuni esempi di questo paradosso. Se dobbiamo credere ai grandi cambiamenti del clima e su quello che, a causa di questi, sarà il futuro del nostro pianeta, dovremo prendere nella giusta misura la "reputazione" delle fonti alle quali ci rivolgiamo per saperlo.

Giornali, riviste, siti ed istituzioni formeranno lo scenario informativo al quale ci rivolgeremo. Il che significa che diamo a questi la dovuta "reputazione" per la conoscenza dei fatti. Non possiamo fare altro e di meglio.

Un altro esempio può essere quello basato sulla incontrovertibile verità che sono stati gli atterraggi lunari effettuati dal programma Apollo dal 1969 al 1972. C'è stato qualcuno che ha innescato una "miccia", per così dire, che ha fatto poi diffondere a livello planetario, la "bufala". L'autore indiscusso è stato Kill Kaysing il quale pubblicò nel 1976 un libro intitolato "We never went to the Moon: America's $30 Billion Swindle". ("Non siamo mai andati sulla Luna: la truffa americana di 30 milioni di dollari").

Mai come in questo caso sono valide le canoniche domande che scaturiscono da "chi-cosa-quando-dove-perchè" per rispondere alla fatidica ultima domanda "perchè?". Si scopre così che Kill (un nome che è tutto un programma!) aveva lavorato in una delle società partecipanti al progetto lunare. Un ottimo punto di partenza per scoprire come andarono effettivamente le cose. Eppure, da quel libro nacquero innumerevoli movimenti di scettici lunari.

Medesima cosa accadde con l'11 settembre 2011 per l'attacco alle Torri Gemelle di New York. Inutile dare qui spiegazioni e risposte alle domande canoniche. Eppure, sorge spontaneo l'interrogativo che ognuno può chiedersi quante e quali sono le prove che uno come me e come voi può avere personalmente per fatti così eclatanti. Sono sempre prove relative dipendenti da altri i quali poggiano su altri e poi altri ancora. Ma, allora, il problema non riguarda più la grande massa di informazioni, quanto la loro "reputazione".

Si parla di "misinformazione" o "disinformazione" che poi diventano "bufale" o "fake news". Quello che si chiede a noi cittadini multimediali e digitali non è più tanto e solo il controllo di quello che sentiamo o leggiamo, quanto la capacità di ricostruire, attraverso il predetto canone, la "reputazione" della notizia in termini di credibilià accertata. Si tratta di saper leggere la realtà che ci circonda e ci coinvolge in ogni momento in questa società quanto mai più "liquida".

Come didtricarsi in un sistema esistenziale che oltre ad avere una sua vivibilità di superficie, ma non superficiale, comporta anche una precisa e profonda necessità di saper vivere in "profondità" sia interiore che esteriore. Ad esempio: saper comprendere la possibile correlazione che esiste tra i vaccini e il problema dell'autismo sarebbe una missione impossibile per chi non possiede gli strumenti necessari per conoscerne il nesso.

In questa epoca di "reputazione" non conta tanto e solo la conoscenza dei contenuti, quanto quelle che sono le correlazioni sociali con le quali ci si deve sapere collegare e che formano un corretto uso della conoscenza. Una "epistemologia" di secondo ordine, intesa studio critico della natura e dei limiti della conoscenza scientifica. Per influsso del corrispondente termine inglese, il vocabolo viene sempre più usato per designare la teoria generale della conoscenza, quindi, gnoseologia.

Saper porre e porsi domande per acquisire conoscenza partendo dal principio che gli uomini costruiscono la loro civiltà beneficiando di conoscenze che non posseggono. Stiamo creando un "cybermondo", un mondo in cui tutto ruota intorno all'informatica. Molti pensano sia Internet, la Rete, il Web, chiamatelo come volete. Invece va ben oltre. Una realtà esistenziale nella quale ognuno di noi dovrebbe sapere essere ed avere una identità sia individuale che sociale. Sono sicuro che se potesse ritornare mio Padre continuerebbe a dire: "Ti hanno detto che il mondo è tondo e tu ci credi". Io gli rsponderei: "Eppur si muove!".

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AntonioGallo | Oct 9, 2019 |
The mask makes the man

It seems that if you study reputation long enough, you come to the conclusion that it does not exist. Reputation is all in your head. It is what you believe others think of you because of how you present yourself and possibly what you (claim to) have done in the past. On this tissue of subterfuge rests reputation. The Latin word “persona“ means mask.

Gloria Origgi has done a fine job of thinking this through, from most conceivable angles. Not only does she account for gossip and rumor, but the human condition and the need for esteem if not immortality. She examines wine raters, academic publishing and ebay feedback as well as charlatans and frauds (though oddly, she doesn’t examine Linked In, the ultimate dedicated reputation site).

Ironically, despite all her citations of studies and references to other scientists’ work, Origgi fills her book with examples from fiction. From films to books to plays and operas, almost all of her points are illustrated through imaginary people doing imaginary things that harm or enhance their imaginary reputations.

Reputation reminds me of homo economicus, a theoretical construct of a rational being, always making the right decision. He does not exist, but there is a huge body of work that requires and depends on him. So with Reputation, a theoretical construct drawing on angles and aspects of society, with very little recourse to the way the world works. I half expected a mathematical formula to appear. In the real world, everyone is trying to get ahead. They will say and do whatever it takes, rightly or wrongly, morally or immorally. For some, even a terrible reputation is preferable to none (which Origgi does not contemplate).

Possibly the most rational conclusion Origgi comes to is that reputation is a necessary feedback loop. Like musicians onstage, we need to hear and see what others are hearing and seeing to know how we’re doing and adjust for greater acceptance.

As Origgi says early on, there is very little in the way of deep research on reputation. It is an emerging topic that needs argument. This will be the baseline.

David Wineberg
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DavidWineberg | Sep 11, 2017 |

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