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Lorenzo Milani

Autor von Letter to a Teacher

28 Werke 333 Mitglieder 5 Rezensionen

Über den Autor

Werke von Lorenzo Milani

Letter to a Teacher (1967) 157 Exemplare
Esperienze pastorali (1958) 17 Exemplare
Lettere alla mamma (1973) 13 Exemplare
La parola fa eguali (2005) 4 Exemplare
Tutte le opere (2017) 3 Exemplare

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Scrivo questo invito alla lettura all’indomani dei cento anni dalla nascita di don Lorenzo Milani che vide la luce a Firenze il 27 maggio 1923 in una colta famiglia borghese. Nel novembre del 1943 entrò nel Seminario Maggiore di Firenze e fu ordinato prete il 13 luglio 1947. A San Donato di Calenzano, nel fiorentino, fondò una scuola popolare serale per i giovani operai e contadini della sua parrocchia, anticipando già una sua chiara posizione che lo porterà sovente a contrapporsi alla gerarchia ecclesiastica, che mal vedeva quel suo schierarsi con alcune classi sociali non considerate in odore di santità. Nel 1958, ad esempio, il suo scritto “Esperienze pastorali” fu ritirato dal commercio per disposizione del Sant’Uffizio, perché considerato una lettura “inopportuna”.

Nominato priore di Barbiana nel 1954, una piccola parrocchia di montagna, iniziò a radunare i giovani della nuova comunità in canonica con una “scuola popolare” simile a quella di San Donato. Durante le ore pomeridiane egli creò anche un doposcuola per i ragazzi delle elementari statali. Un paio di anni dopo rinunciò alla scuola serale e organizzò, per i primi sei ragazzi che avevano finito le elementari, una scuola di avviamento industriale.

A Barbiana ha inizio il vero miracolo operato da don Milani, la sua scuola. “La vera cultura non è solo possedere la parola, esser messi in condizione di potersi esprimere, di poter mettere a disposizione di tutti quello che noi abbiamo ricevuto: è anche appartenere alla massa ed essere consapevoli di questa appartenenza. E appartenenza significa anche farsi carico di tutti”, scrive don Lorenzo che esterna il suo pensiero illuminato affermando anche che “la cultura è una cosa meravigliosa come il mangiare ma chi mangia da solo è una bestia, bisogna mangiare insieme alle persone che amiamo e così bisogna coltivarsi insieme alle persone che amiamo”. Un manifesto chiaro, schierato in difesa di una scuola per tutti, mai struttura di una una cultura elitaria: in quel di Barbiana tutti vanno a scuola e tutti fanno scuola offrendo il modello di un’educazione partecipata a tutti e partecipata da tutti. Un pensiero che renderà don Milani un prete sopra le righe, quasi un eretico in vita, oscurato dalla Chiesa stessa, recuperato poi come un illuminato vari anni dopo la sua scomparsa.

Questo saggio, curato da Michele Gesualdi e dalla Fondazione don Lorenzo Milani, edito nel 2017 dalla Libreria Editrice Fiorentina, preparato per il cinquantenario della celebre “Lettera ad una professoressa”, offre, oltre all’edizione completa della lettera, integrata con una serie di dati molto interessanti circa l’educazione scolastica nel nostro Paese, una serie di interventi che esplorano il testo della lettera, ma soprattutto il ruolo di don Milani e della sua scuola, quale laboratorio di una scuola universale.

Nel luglio 1966, insieme ai ragazzi della scuola di Barbiana, iniziò la stesura della celebre “Lettera a una professoressa”. Non certamente la prima: già nel febbraio del 1965 ne scrisse una “aperta” ad un gruppo di cappellani militari toscani, che in un loro comunicato avevano definito l’obiezione di coscienza “estranea al Comandamento cristiano dell’amore e espressione di viltà”. La lettera, chiaramente, fu incriminata e don Lorenzo rinviato a giudizio per apologia di reato. Quella alla professoressa è, senza alcun dubbio, un’aperta polemica all’istruzione italiana di quel tempo che favoriva la scolarizzazione e l’istruzione di chi proveniva da classi sociali agiate, rifiutando totalmente di aiutare quelli che avevano maggiori difficoltà economiche, anzi favorendo per questi ultimi un preferibile abbandono. Una penalizzazione sociale, inconcepibile per il pensiero rivoluzionario di Milani (anticipatore di molto ciò che produsse la contestazione del ‘68), provocata dalla demoralizzazione personale oppure dal fatto che la necessità a frequentare molti ripetizioni rendeva a questi studenti economicamente improponibile lo studio, invitandoli ad abbracciare lo stesso mestiere del padre, senza aver avuto quindi la vera opportunità di migliorare la propria vita.

Ciò che forse fece rompere gli indugi a don Milani nel prendere una aperta e pubblica posizione a favore di un’educazione paritaria e universale, fu un episodio, ben descritto in questo saggio dall’introduzione di Sandra Gesualdi. Due ragazzi di Barbiana volevano dedicarsi all’insegnamento e per questo, dopo la scuola elementare, svolsero a Barbiana il programma del primo anno di magistrali e scelsero Firenze per sostenere l’esame come privatisti. Furono entrambi respinti in modo umiliante. In 10 anni di vita della scuola mai era stata inflitta tale umiliazione, ogni anno chi da Barbiana sosteneva gli esami da privatista per le medie li superava brillantemente e alcuni di quei ragazzi erano stati preparati proprio dai due respinti. Evidente che si trattava di un processo al priore e a quella rivoluzionaria e sovversiva idea della scuola per e con tutti.

Il libro è arricchito, per meglio comprendere cosa abbia significato (e cosa ancor oggi rende attuale ciò che don Milani ebbe a scrivere), ma soprattutto che impatto ebbe la lettera nella società dell’epoca, da numerosi articoli comparsi sulla stampa nazionale, saggi nel saggio, articolate riflessioni di una parte e dell’altra, tutt’altro che banali trafiletti. Seguono lettere di genitori e di altri sacerdoti recapitate alla scuola di Barbiana dopo la pubblicazione. Interessantissima nel volume, anche una riattualizzazione del pensiero fatta un quarto di secolo dopo, attraverso articoli di stampa a commentare il dibattito che si accese quando Sebastiano Vassali ripropose, sulle colonne di La Repubblica, una visione polemica dell’esperienza di Barbiana.

Si aggiungono le testimonianze di Mario Capanna, Giandomenico Magalotti, Innocente Pessina e Giannozzo Pucci, studenti di don Lorenzo al momento in cui fu scritta la lettera e successivamente impegnati nell’insegnamento, oltre a interventi di altri protagonisti, a vario e diverso titolo, dell’istruzione italiana.

A conclusione di questo mio invito alla lettura mi piace citare quando ha scritto Giannozzo Pucci, una delle figure più rilevanti dell’ambientalismo italiano, che lesse la lettera nel fango dell’alluvione che devastò Firenze: “nella lettera, sotto e intorno alla parola “classe” aleggiava un senso di popolo con una cultura “altra”, non solo composto di subalterni del capitale industriale in costante attaccamento e rivendicazione, ma anche di contadini, donne, vecchi, bambini, competenti di boschi e campagne, come i laureati non potranno mai essere. Si sentiva una lingua e dei contenuti dove gli uomini, la terra e le mani pesavano. (...) Il concetto di classe usato da don Milani conteneva il bisogno di un’alternativa ampia, morale e materiale, alla società dei consumi che ci stava assediando".

Nel dicembre del 1960, don Lorenzo Milani, fu colpito dai primi sintomi del male che sette anni dopo lo portò alla morte, a Firenze il 26 giugno 1967. Aveva 44 anni.
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Sagitta61 | 3 weitere Rezensionen | May 28, 2023 |
Il libro di Lorenzo Milani mette in contrapposizione una scuola basata sull'aspirazione al voto migliore, sulle punizioni e sulla premiazioni di alunni di ceto elevato con la scuola di Barbiana che incarna esattamente l'opposto. È un ottimo spunto di riflessione che descrive com’era, com’è ancora oggi (per alcuni aspetti) e come dovrebbe essere la scuola. Scritto sotto forma di lettera, presenta un linguaggio molto fluido che riesce a coinvolgere completamente il lettore
 
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BiblioLorenzoLodi | 3 weitere Rezensionen | Mar 24, 2017 |
dalle Lettere di don Lorenzo Milani)
a cura di Michele Gesualdi)

Scritta da don Lorenzo,all'amico magistrato GIAMPAOLO MEUCCI, la lettera non é stata mai terminata. Il titolo è suo.

Barbiana, 30.3.1956

Caro Gianni,

cercami per piacere nel Codice penale un articolo che preveda il reato che ora ti dirò. E se non c'è di a qualche amico deputato che lo facciano subito, ma in settimana e carico di pene esemplari. Il titolo dev'essere press'a poco così: "Circonvenzione di contadino giovandosi di circostanze storiche favorevoli per le quali senza mai fare alcunché di legalmente perseguibile gli si fa però un danno umano così enorme che se ne accorgerebbe anche un bambino e che solo il Codice per una sua inspiegabile anomalia non vede." Ma almeno se tu non trovi verso di dar figura giuridica a questo delitto promettimi che lo dirai ai tuoi amici dell'Archivio di Stato. Di loro che l'appuntino su qualche foglio perché ne resti memoria. Se no domani quando tutto il nostro mondo sbagliato sarà stato lavato in un immenso bagno di sangue e quando doman l'altro gli storici inorriditi da tanto sfacelo che avrà travolto insieme tanto bene e tanto male tenteranno di scriverne le origini e i motivi, non riusciranno a leggere fatti come questi che t'ho detto. Perché gli analfabeti non vengono menzionati dalla storia altro che quando uccidono i letterati. E questo avviene proprio perché sono analfabeti e prima di quel giorno non sanno scrivere né farsi in altro modo valere e così son condannati a scrivere solo colla punta dei loro forconi quando è già troppo tardi per esser conosciuti e onorati dagli uomini per quelli che erano innanzi a quel triste giorno. Un contadino parte perché trova un podere migliore. Ha lavorato dieci, venti, talvolta duecento, trecento anni su quella terra e ha vissuto lui e i suoi magrissimamente perché in tutti quegli anni ha fatto vivere, non solo vivere ma studiare, il nonno del padrone e poi il padrone e poi il signorino. Loro hanno frequentato tutte le scuole e si son riempiti la casa di libri e la mente di potenza dialettica e pratica enorme senza aver mai bisogno di guadagnarsi il pane perché il pane lo guadagnava Adolfo e i suoi bambini. Adolfo che non ha fatto neanche la prima perché il signorino ha passione per le pecore e non permette che si vendano. Il signorino dice che le pecore rendono molto tanto a lui che al contadino (ed è vero) e così non permette che si vendano. E così Adolfo ha passato la sua infanzia colle pecore e ora è grande e lavora invece il podere e colle pecore manda Adriano. E Adriano ha già 10 anni ma è analfabeta come il suo babbo solo perché non può andare a scuola perché ha da badare le pecore che hanno da fare la lana e gli agnelli e il cacio. E poi si vende la lana e gli agnelli e il cacio e la metà d'Adolfo basta solo per campare mentre la metà del signorino messa insieme a altre metà di altri poderi basta bene per andare a scuola fino ai 35 anni e far l'assistente universitario volontario cioè non pagato e vivere nei laboratori e nelle biblioteche là dove l'uomo somiglia davvero a colui che l'ha creato che è sola mente e solo sapere. Sono trecent'anni precisi che la famiglia secolarmente analfabeta di Adolfo mantiene agli studi la famiglia secolarmente universitaria del signorino. C'è nell'archivio parrocchiale documenti ingialliti e ammuffiti che lo attestano. Il fatto è già in sé d'una tragicità che non richiede commento. Ora i figlioli di Adolfo sono stufi del lumino a carburo e gli han fatto cercare un podere dove c'è l'acqua e la luce. E Adolfo s'è deciso anche lui a partire per contentare loro e anche per sé perché è stufo fino agli occhi. Ma pure credi che anche partire di quassù è sempre uno strappo non foss'altro perché in trecent'anni s'è imparentato un po' tutte le case della zona e poi qui ormai conosce troppe cose o persone utili nella vita: mediatori, compratori, vicini, ladri, galantuomini, esperti, inesperti... Quando il signorino seppe che Adolfo aveva trovato un podere meglio, gli mentì per la centesima volta che avrebbe messo la luce. Ma Adolfo ormai conosce l'uomo e non c'è caduto più. Ha poi dentro una tale carica di rancore che ormai al Sasso non ci torna più neanche se ci fanno l'autostrada. Allora per un anno il podere del Sasso è restato sodo, e per esser sodo un anno solo è costato tanto quanto occorreva per metter la luce e l'acqua e rimetter la casa e fare qualche fossa. E il signorino ha cercato disperatamente un altro grullo che venisse a campare agli studi lui e il suo figliolo e i suoi nipoti per altri trecento anni. E il grullo purtroppo l'ha trovato. E' un infelice che là dove è ha anche la luce, ma per un complesso di circostanze è costretto a dividersi dal fratello. Ha posto un patto solo e cioè che prima di gennaio quando ci tornerà lui ci sia la luce. Ed ecco il signorino promettere a questo sconosciuto cui non deve nulla ciò che ha negato a Adolfo che per trecent'anni l'ha campato agli studi. Già questo è un insulto alla miseria e al sacrificio che è molto più che uno schiaffo e molto più che una scarica di legnate. Ma se Adolfo dà uno schiaffo o una scarica di legnate al signorino tu lo metti in galera, mentre quando il signorino fa questo a Adolfo tu non ci ravvisi ombra di reato. Anzi forse il signorino è un tuo compagno di studi. Forse stasera lo incontrerai alla San Vincenzo a spendere generosamente i soldi del cacio del Sasso, i soldi dell'analfabetismo di Adolfo. Oppure lo vedrai a far dottrina ai bambini col distintivo di dirigente di Azione Cattolica. Ed ecco ora il signorino in azione per convincere il contadino nuovo a venire. Ecco che non gli dice che a togliere le cimici da quella casa non è bastato neanche il camioncino della prefettura con tre giorni di gas. Gli dissero: « Per levare le cimici da questa casa, signor Professore, non le resta che darle fuoco e ricostruirla a nuovo ». Ecco che gli sfodera un foglio della Valdarno per mostrargli che a giorni al Sasso c'è la luce. Il contadino nuovo è un po' più smalizito d'Adolfo e sa un po' leggere e pensa: « Io non mi chiamo Adolfo. Io so leggere, a me non me la fa ». Guarda dunque quel foglio e vede che è intestato Selt-Valdarno ecc. ecc. Beh, allora basta così, questa volta si dev'esser deciso. Torna ai suoi monti e trasloca. Lascia i parenti, gli amici, danneggia i pochi mobili nello sgombero, spende per il camion, fa interrompere le scuole a Pierino a gennaio in pieno anno scolastico. Insomma io non voglio stare a farti l'elenco completo delle cose che perde per quel trasloco. C'è di mezzo anche un mezzo fidanzamento della sua maggiore ecc. ecc. Fammi il piacere mettiti te nei panni d'un trasloco. Senza che ti faccia tanti esempi lo capisci da te che somma di valori umani si può spezzare in un trasloco. Basterebbe quell'essere eterni viandanti. Non per nulla il nomadismo è segno di civiltà ormai sparite e antichissime. Ma ciò che avviene tra i contadini oggi è nomadismo puro come quello dei pastori dell'Asia e porta con sé tutto il bagaglio delle sue conseguenze disumananti. Sai cos'era quel foglio che il signorino professore ha mostrato al contadino nuovo? Era uno di quei moduli di richiesta di preventivo che la Valdarno dà gratis a chiunque li richieda. Di fronte alla tua legge il signorino è a posto. Quando il preventivo verrà (se verrà) vedrà che la spesa è troppa e non ne farà di nulla. Poco importa. Basta che il Sasso per quest'anno non resti sodo come l'altr'anno. Tu, Procuratore d'una Repubblica fondata sul lavoro, non manderai le forze dell'ordine a sanare questo disordine estremo. Fai pure. Peggio per te e per il tuo e mio mondo e per il mondo del signorino. Ma domani, quando i contadini impugneranno il forcone e sommergeranno nel sangue insieme a tanto male anche grandi valori di bene accumulati dalle famiglie universitarie nelle loro menti e nelle loro specializzazioni, ricordati quel giorno di non fare ingiustizie nella valutazione storica di quegli avvenimenti. Ricordati di non piangere il danno della Chiesa e della scienza, del pensiero o dell'arte per lo scempio di tante teste di pensatori e di scienziati e di poeti e di sacerdoti. La testa di Marconi non vale un centesimo di più della testa di Adolfo davanti all'unico Giudice cui ci dovremo presentare. Se quel Giudice quel giorno griderà « Via da me nel fuoco eterno » per ciò che Adolfo ha fatto colla punta del suo forcone, che dirà di quel che il signorino ha fatto colla punta della sua stilografica? E se di due assassini uno ne vorrà assolvere, a quale dei due dovrà riconoscere l'aggravante della provocazione? A quale dei due l'attenuante dell'estrema ignoranza? D'una ignoranza così grave da non esser neanche più uomini. Neanche forse più soggetti d'una qualsiasi responsabilità interiore.… (mehr)
 
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MareMagnum | May 11, 2006 |

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