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The Unnamable Present (2017)

von Roberto Calasso

MitgliederRezensionenBeliebtheitDurchschnittliche BewertungDiskussionen
1365200,654 (3.53)2
"The strikingly original ninth book in Roberto Calasso's monumental exploration of civilization"--
Keine
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Leggo ora per la prima volta Calasso, iniziando da quello che è attualmente il suo ultimo libro. E resto affascinato dalla forma e qualità del ragionamento e insieme terrorizzato dal contenuto. La riflessione di Calasso è dotta e insieme originale e diretta, senza paura di oscillare fra cultura alta e bassa, fra il benedettino Pietro di Celle e i big data. Il percorso interpretativo che lega secolarizzazione, proceduralizzazione e turistizzazione (chiedo scusa per questi brutti neologismi, tuti miei) della società occidentale alla reazione violenta del terrorismo islamico è purtroppo chiarissimo e preoccupante, così come i frammenti riportati da Calasso nella seconda parte di libro, che rispecchiano l'oggi nell'oscuro periodo 1933-1945. La lettura è come già detto terrorizzante, anche se rischiarata dall'accompagnamento di alcuni pensatori che intuisco essere abituali numi tutelari di Calasso (fra essi Weil, Junger, Cioran, Koestler).

Segnalo una buona recensione di Sofia Silva, che prova a dar ragione anche del Tiepolo inserito in copertina. ( )
  d.v. | May 16, 2023 |
Mentre leggevo il libro mi sono andato a scorrere quello che su GR hanno scritto alcuni lettori sia dell'edizione italiana che della traduzione in inglese. Ho scritto un provvisorio commento: "Sto leggendo il libro, lo trovo interessante, ma so già come andrà a finire. Non intendo il libro. Mi riferisco a quello che farò quando avrò completato la lettura. Mi rileggerò il Qoelet e sono sicuro che saprà dare un "nome" all' "innominabile".

Confermo questa momentanea impressione. Grande la cultura di chi scrive, formidabili le intuizioni, pensiero elaborato e complesso, troppe cose date per scontate, ma questa ovviamente è colpa non di chi scrive bensì di chi legge. Se la prima parte sembra più che una cavalcata di un "innominabile" nel presente, una fuga dal passato nel quale, purtroppo, poi Calasso ci riporta nella seconda parte. Desidero riportare una parte del giudizio di Giacomo Cavalleri su questo libro che pienamente condivido:

"Lo stile di Calasso è molto affascinante e non procede per argomentazioni logiche o filosofiche: è un mosaico di citazioni coltissime, debitamente virgolettate, elencate come “Fonti” nelle note: si va da Nietzsche all'amato Burckhardt, a Simone Weil, a Leibniz, Céline, Malebranche, Benjamin, Brasillach, Vassiltchikov, con sopravvalutazione (o disprezzo) del lettore che ben difficilmente andrà a controllare gli originali. Insomma, la scrittura di Calasso è all'insegna dell'ambiguità, perché non si capisce mai bene fino a che punto Calasso condivide le sue devote citazioni. Recensendo La rovina di Kasch sulla “London Rewiew of Books” il 26 gennaio 1995, Malcom Bull così concludeva: «Forse il brivido che si prova alla lettura non è tanto quello di una storia poliziesca, quanto di un romanzo del genere horror: alla fine ci si rende deliziosamente conto che ciò che il tuo affascinante ma elusivo compagno vuole è affondare i suoi denti nel tuo collo». Non si potrebbe dir meglio, e vale anche per l'Innominabile attuale."

Adesso avrete capito perchè mi sono andato a rileggere il Qoelet ... ( )
  AntonioGallo | Oct 9, 2019 |
Intellectually as elegant and subtle as ever, but with a more visceral, polemical force; without a shred of optimism. Read on a chilly and chilling day, reminding myself to breathe occasionally. ( )
  AnthonyTFS | Apr 14, 2019 |
Un canto a più voci, questo piccolo e intenso libro di Calasso; ricco di citazioni, richiami, riferimenti, ma al tempo stesso asciutto essenziale, l’innominabile attuale è una sorta di canto del cigno della democrazia intesa come rifugio della cultura e della libertà. Calasso si muove con la grazia di un ballerino, tra le spine ed i cocci di vetro del qualunquismo attuale, caspita l’ho nominato; la cultura delle certezze basate sul nulla, del tutti possono parlare di tutto, una sorta di golem di una possibile futura tirannia; che l’autore richiama nel secondo capitolo del libro, in cui ripercorre in una sorta di tragedia corale l’esperienza che dagli anni trenta conduce in Europa e in Germania alla follia nazista. L’intensità della scrittura di Calasso mette sicuramente alla prova il lettore, o almeno me; la cultura dell’autore è usata con intelligenza, i riferimenti non sono mai fini a se stessi, ma sempre pertinenti e equilibrati. Le riflessioni dell’autore su concetti malamente abusati, la democrazia diretta come forma di tirannia indiretta, la disintermediazione culturale, in nome della quale bidelli e impiegati postali discettano di vaccini e medicine germaniche come fossero virologi o biologici; il turista che si trasforma in viaggiatore alla ricerca del nuovo mondo, Cristofori Colombi del duemila. Come detto un libro intenso e complesso che rientra nell’ambito di un’opera di ampio respiro che Calasso sta portando avanti da anni; e che mi riprometto di leggere. ( )
  grandeghi | Aug 1, 2018 |
L’innominabile attuale, Roberto Calasso

“La sensazione più precisa e più acuta, per chi vive in questo momento, è di non sapere dove ogni giorno sta mettendo i piedi. Il terreno è friabile, le linee si sdoppiano, i tessuti si sfilacciano, le prospettive oscillano. Allora si avverte con maggiore evidenza che ci si trova nell’”innominabile attuale”.

Viene spontaneo partire dal titolo e chiedersi che cosa intenda Roberto Calasso per "innominabile attuale". In una intervista di anni fa, al tempo di un saggio sulla civiltà vedica intitolato "L'ardore", alla domanda su che cosa intendesse per questa espressione, che aveva già usato per definire il tempo attuale, rispose:
"Da circa trent’anni mi propongo di esplicitarla in un libro. Ma non ci sono ancora arrivato. Ci sono epoche che sfuggono tenacemente alla parola. Stendhal o Balzac sapevano parlare con mirabile efficacia e precisione del mondo che li circondava. Oggi non mi sembra che qualcuno riesca a fare qualcosa di simile."

“L’innominabile attuale” è la terza parte del progetto originario di un’opera che avrebbe dovuto contenere “La rovina di Kasch” e “Le nozze di Cadmo e Armonia”. Come in tutti i suoi libri, Calasso indaga nel mito e nel passato per conoscere il presente: “un mondo elusivo in ogni singola parte, è l’opposto del mondo che Hegel intendeva stringere nella morsa del concetto. E’ un mondo frantumato anche per gli scienziati. Non ha un suo stile e li usa tutti. Ciò che prevale è l’inconsistenza. E’ l’età dell’inconsistenza. Una inconsistenza assassina. Fondamento del terrore è l’idea che soltanto l’uccisione offra la garanzia del significato.”
La prima parte è dedicata al terrorismo islamico, uno dei tanti terrorismi: l’ultimo. Il penultimo era stata la guerra, che c’è ancora, ma, dopo Hiroshima, la paura delle armi atomiche aveva costituito un deterrente. Il terrorismo islamico è sacrificale: nella sua forma perfetta, la vittima è l’attentatore. Quelli che vengono uccisi nell’attentato - scrive Calasso - sono il frutto benefico del sacrificio dell’attentatore. Un tempo, il frutto del sacrificio era invisibile. Ora è visibile, fotografabile. Il nemico primo del terrorismo islamico è il mondo secolare, preferibilmente nelle sue forme comunitarie: turismo, spettacoli, uffici, musei, locali, grandi magazzini, mezzi di trasporto. Come ogni pratica sacrificale, il terrorismo islamico si fonda sul significato. E quel significato si concatena ad altri significati, tutti convergenti verso lo stesso motivo: l’odio per la società secolare.
Oggi, però, si fa strada una nuova variante di terrorismo. Il terrorismo che aveva come oggetto le due torri era un terrorismo significante, perché colpiva due simboli; la variante di oggi è il terrore secolare, disponibile per fondamentalismi di ogni specie. La potenza che muove il terrorismo e lo rende assillante non è religiosa, né politica, né economica, né rivendicativa. E’ il caso, il principale antagonista della società di oggi che si ritiene autosufficiente e sovrana, ma non può nulla contro il caso. E’ lo scontro di due poteri: il potere di una società che si ritiene autosufficiente e sovrana e il potere del caso, il suo antagonista e persecutore.
Il terrore secolare vuole innanzitutto uscire dalla coazione sacrificale. Passare al puro assassinio. Il caso è il committente ultimo di quegli atti. E che cosa fa più paura: l’uccisione significante o l’uccisione casuale? Risposta: l’uccisione casuale. Perché il caso è più ampio dei significati. Davanti all’uccisione significante, l’insignificante può ritenersi protetto dalla propria insignificanza. Ma davanti all’uccisione casuale, l’insignificante si scopre particolarmente esposto, appunto per la propria insignificanza. Alla fine, il terrore non ha più bisogno di un committente collettivo. Committente ed esecutore possono coincidere. Possono essere il singolo come entità disancorata, non meno di uno Stato o di una setta, che obbedisce a un comandamento imposto da lui stesso: uccidere.
Fra secolarismo e religioni una linea divisoria imprescindibile è costituita dal rituale. I secolaristi non ammettono di compiere regolarmente e talvolta con periodicità fissa atti che si rivolgano a un’entità esterna. Questa abrogazione del rituale avrebbe potuto avere come conseguenza un euforico alleggerimento dagli atti obbligati. Ma così non è stato. Per alcune delle più grandi imprese come Google la sostanza che si muta in denaro e la nutre non è più il petrolio, ma la pubblicità. Essenziale per la pubblicità è che si ripeta così come gli atti rituali. La ripetizione garantisce la costanza del significato. Allora cosa separa i secolaristi dai religiosi se anche i secolaristi si attengono a una qualche ritualità? Soltanto una certa qualità della percezione. Rispetto ai religiosi i secolaristi sono come i turisti rispetto ai nativi. Curiosi, simpatetici, talvolta appassionati, spesso impressionati. E sempre accompagnati da un pensiero rassicurante: il ritorno al luogo da dove sono partiti.
Il frequentatore della realtà virtuale, detta anche realtà aumentata, è un discendente diretto del turista che cerca esperienze estreme. Entrambi operano una sospensione temporanea dell’irreversibile. Il primo sa che può togliersi in ogni momento il visore, l’altro che un certo giorno tornerà a casa. Sospendere l’irreversibile implica sfuggire all’entropia. Il giovane Buddha seguì la via inversa. Lasciò la casa del padre, che sembrava irraggiungibile dal mutamento per incontrare l’irreversibile nel suo triplice volto di malattia, vecchiaia, morte. Fu quella per lui la realtà aumentata. Ma il Buddha disse solo che era la realtà tatha “così”. E insegnò a vedere la tathata “l’essere così” di ciò che è.

La seconda parte del saggio contiene stralci di testi di scrittori contemporanei nei dodici anni dal 1933 e 1945: per l'autore conoscere quei dodici anni è fondamentale per capire cosa sia successo dopo.

Nella terza parte, riporta invece il testo di un foglietto isolato, non databile, conservato oggi alla Biblioteca Jacques Doucet, in cui Baudelaire racconta il crollo di una immensa torre, che un giorno si sarebbe chiamata grattacielo. Provava un senso di impotenza perché non riusciva a trasmettere la notizia alla gente, alle nazioni. Così doveva contentarsi di sussurrarla ai più intelligenti. “Era accaduto tutto in un sogno, uno di quei sogni a cui Baudelaire era avvezzo. Quando la notizia di questo sogno giunse alle nazioni, tutto corrispondeva, con una sola aggiunta: le torri erano due – e gemelle.” ( )
  CristinaGandolfi | Nov 4, 2017 |
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