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Cento lettere a uno sconosciuto

von Roberto Calasso

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Collection of 100 dust- jacket summaries selected from more than 1,000 written by the author for titles published by Adelphi since 1963.
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Questo libro è il libro dei libri. Non sembri strana questa definizione che in genere la si usa per definire la Bibbia. Questa volta la definizione assume un significato complesso. Riguarda l'autore, riguarda il contenuto, una casa editrice, cento libri, cento autori. Tutto fatto dai risvolti, una raccolta di 100 risvolti dei 1068 che Roberto Calasso fondatore e creatore di Adelphi scrisse dal 1965 al 2003.Risvolti scritti e selezionati dallo stesso Calasso che delineano l’identità di quel lungo serpente di carta che è Adelphi, in cui ogni libro dialoga con il successivo instaurando un legame di affinità con i lettori. Che cosa creano questi risvolti? L’identità di Adelphi: libri unici nati da un evento che ha segnato la vita dell’autore; l’universalità delle storie raccontate; la sperimentazione e la rottura con la tradizione letteraria; la creazione di mondi altri e possibili; il viaggio come consapevolezza di sé e vero tesoro della vita di chi ha fatto del pensiero, della scrittura e della lettura la ragione di vivere. Insomma si nasce e si impara a pensare e parlare, poi si impara a leggere e scrivere, ci si crede scrittori e bibliofili, si finisce bilbliomani. Calasso ha fatto della sua passione per la scrittura e l'editoria la sua sinfonia di vita.
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Ho scritto su FB, alla notizia della scomparsa di Roberto Calasso: "un genio della scrittura e dell'editoria". Ed è vero. Ho ritrovato nella mia biblioteca digitale questo suo preziosissimo libro, con questo strano titolo. "Lettere" che poi non sono altro che "risvolti" di suoi cento libri. Tutte le etichette che gli ho assegnato caratterizzano questo libro che ricordo di avere comprato a Bologna in una antica piccola libreria in via Andrea Costa. Testimonia l'amore per i libri di Calasso, tanto amore che sfocia certamente nella bibliomania e nel business. Potete trovare di tutto e tutti nel lungo elenco dei "risvolti": da Erewhon a Eliogabolo, dal libro di Giobbe alle "memorie di un malato di nervi", passando per Casanova e il giorno del giudizio, la Patagonia di Chatwin, i Quaderni di Simon Weil, gli ultimi giorni di Kant e la tentazione di esistere di Cioran. Non poteva mancare "L'insostenibile leggerezza dell'essere" di Kundera e il "Cardillo Addolorato" di Anna Maria Ortese per finire con gli Editti di Asoka. Chi legge e sa leggere capirà allora il valore e il significato della comunicazione nel lavoro che ha svolto Calasso nel campo della editoria e anche dell'economia. Una guida, una identità per chi cerca nei libri la sua identità, unendo lavoro, lettura e letteratura in un percorso mediatico nel quale il pensiero pensato fa da guida e riferimento per chi crede nella scrittura come avventura. Questo era Roberto Calasso che ha saputo scrivere la sua "lettera" a chi sa leggere, per non passare alla storia come uno "sconosciuto". ( )
  AntonioGallo | May 9, 2021 |
Roberto Calasso, direttore editoriale dell'Adelphi, ha scritto moltissimi risvolti di copertina di romanzi e saggi editi dalla sua casa editrice: i più significativi sono raccolti nel n. 500 della Piccola Biblioteca. ( )
  gianoulinetti | Feb 15, 2013 |
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Il risvolto è un’umile e ardua forma letteraria che non ha ancora trovato il suo teorico e il suo storico. Per l’editore, spesso offre l’unica occasione per accennare esplicitamente ai motivi che lo hanno spinto a scegliere un certo libro. Per il lettore, è un testo che si legge con sospetto, temendo di incontrarvi un subdolo imbonimento. Eppure il risvolto appartiene al libro, alla sua fisionomia, come il colore e l’immagine della copertina, come i caratteri in cui è stampato. Eppure, una civiltà letteraria si riconosce anche dal modo in cui i libri si presentano.

Lunga e tortuosa è stata la via percorsa dalla storia del libro prima di far nascere il risvolto. Suo nobile antenato è l’epistola dedicatoria: altro genere letterario, fiorito a partire dal Cinquecento, dove l’autore (o lo stampatore) si rivolgeva al Principe che aveva protetto l’opera. Genere non meno imbarazzato del risvolto, poiché qui la funzione dell’allettamento commerciale veniva assunta dall’adulazione. Eppure, quante volte, e in quanti libri, fra le righe dell’epistola dedicatoria l’autore (o lo stampatore) ha lasciato trasparire la sua verità – e anche stillare il suo veleno. Rimane da constatare, comunque, che nel momento in cui il libro entra nel mondo sembra obbligato a passare da una forma che suscita diffidenza.

In età moderna, non vi è più un Principe a cui rivolgersi, ma un Pubblico. Avrà forse un volto più netto e riconoscibile? Chi crede di poterlo affermare s’inganna. Per alcuni può addirittura essere questo l’inganno su cui si fonda la loro professione. Ma la storia dell’editoria, a guardarla da vicino, è una storia di perenni sorprese, una storia dove regna l’imprevisto. Al capriccio del Principe si è sostituito un altro, diffuso capriccio, non meno potente. E le possibilità di equivoco si sono moltiplicate. Cominciamo dalla parola: chi dice pubblico pensa generalmente a un’entità ingombrante e informe. Ma la lettura è solitaria, come il pensiero – e presuppone l’oscura e isolata scelta di un singolo. Il capriccio implicito nella scelta del mecenate che dall’adulazione. Eppure, quante volte, e in quanti libri, fra le righe dell’epistola dedicatoria l’autore (o lo stampatore) ha lasciato trasparire la sua verità – e anche stillare il suo veleno. Rimane da constatare, comunque, che nel momento in cui il libro entra nel mondo sembra obbligato a passare da una forma che suscita diffidenza. In età moderna, non vi è più un Principe a cui rivolgersi, ma un Pubblico. Avrà forse un volto più netto e riconoscibile? Chi crede di poterlo affermare s’inganna. Per alcuni può addirittura essere questo l’inganno su cui si fonda la loro professione. Ma la storia dell’editoria, a guardarla da vicino, è una storia di perenni sorprese, una storia dove regna l’imprevisto. Al capriccio del Principe si è sostituito un altro, diffuso capriccio, non meno potente. E le possibilità di equivoco si sono moltiplicate. Cominciamo dalla parola: chi dice pubblico pensa generalmente a un’entità ingombrante e informe. Ma la lettura è solitaria, come il pensiero – e presuppone l’oscura e isolata scelta di un singolo. Il capriccio implicito nella scelta del mecenate che dopo tutto minore, perché più fondato, del capriccio di un ignoto lettore che si avvicina a un’opera e a un autore di cui nulla sa.

Osserviamo un lettore in libreria: prende in mano un libro, lo sfoglia – e, per qualche istante, è del tutto separato dal mondo. Ascolta qualcuno che parla, e che gli altri non sentono. Accumula casuali frammenti di frasi. Richiude il libro, guarda la copertina. Poi, spesso, si sofferma sul risvolto, da cui si aspetta un aiuto. In quel momento sta aprendo – senza saperlo – una busta: quelle poche righe, esterne al testo del libro, sono di fatto una lettera: la lettera a uno sconosciuto.

Per molti anni, dopo che Adelphi cominciò a pubblicare, ci è capitato di sentirci rivolgere una domanda: «Qual è la politica della casa editrice?». Era una domanda colorata da un certo periodo, quello in cui la parola «politica» stingeva su tutto, anche sul caffè che si beveva in un bar. Nella sua goffaggine, era però una domanda giusta. Sempre più, nel nostro secolo, l’editore è diventato una figura occulta, un invisibile ministro che dispensa immagini e parole seguendo criteri non immediatamente chiari, che suscitano l’universale curiosità. Pubblica forse per fare denaro, come tanti altri produttori? Nel profondo, pochi ci credono, se non altro per la fragilità del mestiere e del mercato. Appare così spontaneo il dubbio, in questo caso, che il denaro basti a rendere ragione di tutto. C’è sempre un di più che viene attribuito all’editore. Se esistesse (e non l’ho mai incontrato) un editore che pubblica soltanto per fare denaro, nessuno gli darebbe ascolto. E probabilmente fallirebbe presto, confermando gli increduli nella loro convinzione.

Nei primi anni, colpiva nei libri Adelphi innanzitutto una certa sconnessione. Nella stessa collana, la «Biblioteca», apparvero in sequenza un romanzo fantastico, un trattato giapponese sull’arte del teatro, un libro popolare di etologia, un testo religioso tibetano, il racconto di un’esperienza in carcere durante la seconda guerra mondiale. Che cosa teneva insieme tutto questo? Paradossalmente, dopo un certo numero di anni, lo sconcerto dinanzi alla sconnessione si è rovesciato nel suo opposto: il riconoscimento di una connessione evidente. In alcune librerie, dove gli scaffali sono divisi per materia, ho incontrato – accanto alle etichette Cucina, Economia, Storia, ecc. – un’altra etichetta, di uguale impostazione grafica, che diceva semplicemente: Adelphi. Questo singolare rovesciamento, che si è imposto nella percezione di qualche libraio e di molti lettori, non era ingiustificato. Si può fare una casa editrice per le ragioni più diverse, e seguendo i criteri più diversi. Quello che oggi sembra più normale, in una grossa casa editrice, si potrebbe formulare così: pubblicare libri che corrispondano ciascuno a uno spicchio di quell’immenso ventaglio che è il pubblico. Ci saranno così libri rozzi per i rozzi e libri squisiti per gli squisiti, in proporzione all’ampiezza che si attribuisce a ciascuno di quegli spicchi.

Ma si può costruire un programma editoriale anche seguendo un criterio palesemente contrario. Che cos’è una casa editrice se non un lungo serpente di pagine? Ciascun segmento di quel serpente è un libro. Ma se si considerasse quella serie di segmenti come un unico libro? Un libro che comprende in sé molti generi, molti stili, molte epoche, ma dove si continua a procedere con naturalezza, aspettando sempre un nuovo capitolo, che ogni volta è di un altro autore. Un libro perverso e polimorfo, dove si mira alla poikilía, alla «variegatezza», senza rifuggire i contrasti e le contraddizioni, ma dove anche gli autori nemici sviluppano una sottile complicità, che magari avevano ignorato nella loro vita. In fondo, questo strano processo, per cui una serie di libri può essere letta come un unico libro, è già avvenuto nella mente di qualcuno, per lo meno di quell’entità anomala che sta dietro i singoli libri: l’editore.

Questa visione comporta alcune conseguenze. Se un libro è innanzitutto una forma, anche un libro composto di una sequenza di centinaia (o migliaia) di libri sarà innanzitutto una forma. All’interno di una casa editrice della specie che sto descrivendo, un libro sbagliato è come un capitolo sbagliato in un romanzo, una giuntura debole in un saggio, una chiazza di colore urtante in un quadro. Criticare quella casa editrice non sarà, a questo punto, nulla di radicalmente diverso dal criticare un autore. Quella casa editrice è paragonabile a un autore che scriva solo centoni. Ma i primi classici cinesi non erano forse tutti centoni?

Non vorrei però essere frainteso: non intendo pretendere da qualsiasi editore che diventi un classico cinese arcaico. Sarebbe pericoloso per il suo equilibrio mentale, già minacciato da tanti agguati e seduzioni. Non ultima fra queste, e destinata ad avere fortuna, la seduzione che è il perfetto rovescio speculare di quella che potremmo chiamare la tentazione del classico cinese. Intendo con ciò la possibilità di diventare come il «povero ricco» di cui scrisse Adolf Loos, che volle abitare in un appartamento ideato in ogni minimo dettaglio dal suo architetto, e alla fine si sentì totalmente estraneo e vergognoso a casa sua. L’architetto lo rimproverò perché aveva osato mettersi un paio di pantofole (anch’esse disegnate dall'architetto) nel soggiorno e non in camera da letto.

No, la mia proposta è che agli editori si chieda sempre il minimo, ma con durezza. E qual è questo minimo irrinunciabile? Che l’editore provi piacere a leggere i libri che pubblica. Ma non è forse vero che tutti i libri che ci hanno dato un qualche piacere formano nella nostra mente una creatura composita, le cui articolazioni sono però legate da un’invincibile affinità? Questa creatura, formata dal caso e dalla ricerca testarda, potrebbe essere il modello di una casa editrice – e per esempio di una che già nel suo nome rivela una propensione per l’affinità: Adelphi, appunto.

Di tutto questo i risvolti qui pubblicati portano traccia. Fin dall’inizio, obbedivano a una sola regola: che noi stessi li prendessimo alla lettera; e a un solo desiderio: che anche i lettori, contrariamente all’uso, facessero lo stesso. In quella angusta gabbia retorica, meno fascinosa ma altrettanto severa di quella che può offrire un sonetto, si trattava di dire poche parole efficaci, come quando si presenta un amico a un amico. E superando quel lieve imbarazzo che c’è in tutte le presentazioni, anche e soprattutto fra amici. Oltre che rispettando le regole della buona educazione, che impongono di non sottolineare i difetti dell’amico presentato. Ma c’era, in tutto questo, anche un pungolo: si sa che l’arte della lode precisa non è meno difficile di quella della critica devastante. E si sa inoltre che il numero di aggettivi adatti per lodare gli scrittori è infinitamente minore di quello degli aggettivi disponibili per lodare Allah. La ripetitività e la limitazione sono parte della nostra natura. Dopo tutto, non riusciremo mai a variare più che tanto i gesti che compiamo per alzarci da un letto.

Venendo a coincidere il quarantesimo anno dell’uscita del primo libro Adelphi e il numero cinquecento della «Piccola Biblioteca», abbiamo pensato di raccogliere in un libro cento tra i 1068 risvolti che ho scritto fra il 1965 e oggi. In un certo periodo – fra il 1967 e il 1992 – tendevo a scriverli tutti, con rarissime eccezioni. In seguito ne ho scritti sempre meno e oggi, salvo qualche occasionale soprassalto, mi dedico piuttosto a rivedere e, se è il caso, rielaborare testi messi insieme da una squadra redazionale: questo spiega l’assottigliarsi dei risvolti tratti da libri degli ultimi anni.

I motivi che hanno guidato la scelta dei cento risvolti potevano essere – e sono stati – molteplici. Nessuno però tale da dominare. Ci siamo presto resi conto che, se avessimo voluto comporre un libro che rispecchiasse con qualche pretesa di precisione la rappresentatività o l’importanza di certi titoli nel programma della casa editrice, immediatamente ci saremmo trovati ad affrontare dilemmi insensati. Sono state invece preziose e decisive le indicazioni di dieci lettori affini – interni ed esterni alla casa editrice –, secondo i loro gusti e inclinazioni. Così alla fine due soli criteri sono rimasti inflessibili: l’arbitrio e l’idiosincrasia. Arbitrio perché di ogni autore si è stabilito di non scegliere più di un titolo. Idiosincrasia perché la decisione ultima è stata affidata al minor dispiacere dell’autore nel rileggere i singoli pezzi. E a questo punto era fatta la scelta, le cui manchevolezze vanno imputate soltanto all’autore stesso.

Alla luce di tutto questo, non ci sarà ragione di meravigliarsi se alcuni libri essenziali nella casa editrice qui non appariranno. E neppure se salterà all’occhio l’assenza di certi autori (Brodskij o la Campo o la Bachmann o Colli o Baltrušaitis o Berlin potrebbero essere gli esempi più evidenti). È facile sentirsi insoddisfatti quando dobbiamo presentare qualcosa che ci sta particolarmente a cuore.

Tutti i testi sono riprodotti esattamente come sono apparsi, includendo anche un certo numero di virgolette alte che oggi senz’altro abolirei, ma che non posso non guardare con affetto, perché erano immancabilmente dovute ad accorti interventi cautelativi di Luciano Foà. Sono stati invece eliminati, quando vi fossero, i ragguagli funzionali all’edizione di cui, volta a volta, si trattava. A partire da un primo e drastico lavoro di sfoltimento sino agli ultimi tocchi redazionali ha vegliato sapientemente su questo libro Maddalena Buri, a cui va la mia gratitudine. Infine un’osservazione che è un sottinteso di tutto: questi risvolti hanno avuto per vari decenni, come primo lettore e interlocutore, Luciano Foà. Con lui ho soppesato innumerevoli dubbi. A lui il libro è naturalmente dedicato.

La presentazione del libro dei risvolti di Roberto Calasso
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