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Erste Worte |
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Die Informationen sind von der italienischen Wissenswertes-Seite. Ändern, um den Eintrag der eigenen Sprache anzupassen. [Il tabernacolo] Il naso vasto e carnoso, tutto bucherato dal vajuolo come una spugna, pareva gli fosse divenuto, dopo la malattia, più abbondante. Di qua e di là, divergenti quasi per lo spavento di quel naso, gli occhi lucidi, neri, pareva volessero scappargli dalla faccia gialla, disfatta. [Risposta] Tu credi, caro Marino, d'aver sofferto un'atroce disillusione, perché hai veduto all'improvviso la signorina Anita orribilmente diversa da quella che conoscevi tu, da quella ch'era per te. Sei ben certo, adesso, che la signorina Anita era un'altra. Benissimo. Un'altra, la signorina Anita, è di certo. Non solo; ma anche tante e tante altre, amico mio, quanti e quanti altri son quelli che la conoscono e che lei conosce. Il tuo errore fondamentale, sai dove consiste? Nel credere che, pur essendo un'altra per come tu credi, e tante altre per come credo io, la signorina Anita non sia anche, tuttora, quella che conoscevi tu. [Acqua amara] Lei mi vede così grasso e forse non mi suppone capace di commuovermi a uno spettacolo di natura. Ma creda che ho un'anima piuttosto mingherrlina. Un'animuccia coi capelli biondi ho, e col visino dolce dolce, diafano e affilato e gli occhi color di cielo. Un'animuccia insomma che pare un'inglesina, quando, nel silenzio, nella solitudine, s'affaccia alle finestre di questi miei occhiacci di bue, e s'intenerisce alla vista della luna e allo scampanellìo che fanno i grilli sparsi per la campagna. [La buon'anima] … Cosimo Taddei le aveva insegnato che alle sciagure le lagrime non son rimedio. La vita a chi resta, la morte a chi tocca. [Notte] Dunque, lì; funghire lì, stare lì ad aspettare, in quell'orrenda solitudine, che lo spirito a poco a poco gli si vestisse d'una scorza di stupidità. [La cassa riposta] Come custode di cimitero, Nocio Pàmpina, detto ‘Sacramento’, era l'ideale. Già una larva, che lo portava via il fiato; e certi occhi chiari, spenti; una vocina di zanzara. Pareva proprio un morto uscito di sotterra per attendere, così come poteva, alle faccenduole di casa. Che c'era da fare poi? Tutta gente dabbene, lì – ormai – e tranquilla. Le foglie, sì. Qualche foglia caduta dalle siepi ingombrava i vialetti. Qualche sterpo era cresciuto qua e là. E i passeri monellacci, ignorando che lo stil lapidario non vuole interpunzioni, avevano seminato con le loro cacatine tra le tante virtù di cui erano ricche le iscrizioni di quelle pietre tombali, troppe virgole forse e troppi punti ammirativi. [Il treno ha fischiato…] « … Chi veda soltanto una coda, facendo astrazione dal mostro a cui essa appartiene, potrà stimarla per sé stessa mostruosa. Bisognerà riattaccarla al mostro; e allora non sembrerà più tale; ma ‘quale dev'essere’, appartenendo a quel mostro. Una coda naturalissima». [La trappola] Vedi, è questo il pensiero che mi sconvolge e mi rende feroce! La vita è il vento, la vita è il mare, la vita è il fuoco; non la terra che si incrosta e assume forma. Ogni forma è la morte. Tutto ciò che si toglie dallo stato di fusione e si rapprende, in questo flusso continuo, incandescente e indistinto, è la morte. Noi tutti siamo esseri presi in trappola, staccati dal flusso che non s'arresta mai, e fissati per la morte. Dura ancora per un breve spazio di tempo il movimento di quel flusso in noi, nella nostra forma separata, staccata e fissata; ma ecco, a poco a poco si rallenta; il fuoco si raffredda; la forma si dissecca; finché il movimento non cessa del tutto nella forma irrigidita. Abbiamo finito di morire. E questo abbiamo chiamato vita! [La tragedia d'un personaggio] Tra quelli che rimangono indietro in attesa, sopraffatti, chi sospira, chi s'oscura, chi si stanca e se ne va a picchiare alla porta di qualche altro scrittore. Mi è avvenuto non di rado di ritrovare nelle novelle di parecchi miei colleghi certi personaggi, che prima s'erano presentati a me; come pure m'è avvenuto di ravvisarne certi altri, i quali, non contenti del modo com'io li avevo trattati, han voluto provare di fare altrove miglior figura. [La tragedia d'un personaggio] « … Nessuno può sapere meglio di lei, che noi siamo esseri vivi, più vivi di quelli che respirano e vestono panni; forse meno reali, ma più veri! Si nasce alla vita in tanti modi, caro signore; e lei sa bene che la natura si serve dello strumento della fantasia umana per proseguire la sua opera di creazione. E chi nasce mercé quest'attività creatrice che ha sede nello spirito dell'uomo, è ordinato da natura a una vita di garn lunga superiore a quella di chi nasce dal grembo mortale d'una donna. Chi nasce personaggio, chi ha la ventura di nascere personaggio vivo, può infischiarsi anche della morte. Non muore più! Morrà l'uomo, lo scrittore, strumento naturale della creazione; la creatura non muore più! E per vivere eterna, non ha mica bisogno di straordinarie doti o di compiere prodigi. Mi dica lei chi era Sancho Panza! Mi dica lei chi era don Abbondio! Eppure vivono eterni perché – vivi germi – ebbero la ventura di trovare una matrice feconda, una fantasia che li seppe allevare e nutrire per l'eternità». [Male di luna] Asserragliata dentro, tenendosi stretta come a impedire che le membra le si staccassero dal tremore continuo, crescente, invincibile, mugolando anche lei, forsennata dal terrore, udì poco dopo gli ùluli lunghi, ferini, del marito che si scontorceva fuori, là davanti la porta, in preda al male orrendo che gli veniva dalla luna, e contro la porta batteva il capo, i piedi, i ginocchi, le mani, e la graffiava, come se le unghie gli fossero diventate artigli, e sbuffava, quasi nell'esasperazione d'una bestiale fatica rabbiosa, quasi volesse sconficcarla, schiantarla, quella porta, e ora latrava, latrava, come se avesse un cane in corpo, e daccapo tornava a graffiare, sbruffando, ululando, e a battervi il capo, i ginocchi. | |
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