“La commedia di colui che sposò una donna muta” piéce scritta nel 1912, contemporanea del romanzo storico “Gli dei hanno sete” famoso per l’avversione al fanatismo e per l’amore della tolleranza.
E sono proprio questi sentimenti accanto a molti altri spunti quali la libertà, la giustizia, gli affetti che vivono nelle rapide, irridenti e raffinate espressioni evocatrici della vicenda della donna muta, Caterina Momichael, settima figlia del luogotenente criminale di Salency, a cui sapienti medici restituiscono la parola. Ma quali conseguenze per un fatto così importante? “È come dare la libertà improvvisamente a tutti!” dice l’autore, e decisamente, come in un sottile aforisma, si snoda la storia con aperture imprevedibili, con tocchi magici di sorriso per il grottesco operare dei personaggi nel variare delle situazioni. Tutto avviene in una Parigi seicentesca, improbabile e fabulosa ma contemporanea per vizi e virtù e la regia tende a fare riconoscere la precisione delle immagini evocate. E se nel primo tempo è Caterina ad essere sospesa in un’atmosfera surreale mentre il giudice suo sposo è tutto teso al proprio particolare e ad impinguare il patrimonio, come del resto gli altri personaggi, nel secondo tempo tutto cambierà.