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Lädt ... Romanzi e racconti vol. 2von August Strindberg
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Introduzione
LA SALA ROSSA (traduzione di Maria Pia Muscarielli)
GLI ISOLANI DI HEMSÖ (traduzione e note di Mario Gabrieli)
CIANDALA (traduzione di Andrea Petricca)
IN MARE APERTO (traduzione di Stefania Renzetti)
BANDIERE NERE (traduzione di Maria Cristina Lombardi)
IL CAPRO ESPIATORIO (traduzione di Anna Grazia Calabrese)
Note ai testi
Cronologia
Bibliografia
Dall'introduzione di Ludovica Koch
Grande istrione tradito da una timidezza senza rimedio, esibizionista sempre schermato dalla tela o dalla pagina, da ragazzo attore falliti, Strindberg condivide con gli attori falliti la mania di recitare, nelle sortite ufficiali, appena gli è possibile la parte di Amleto. Pallido, scarmigliato, elegantemente vestito di nero, posa per i suoi molti ritratti a tutto o a mezzo busto con un'espressione profetica e geniale nella faccia seria. A un intervistatore che gli domanda, dopo i successi teatrali di Parigi e di Copenaghen, quale sia il tratto principale del suo carattere, risponde assorto: "Una strana miscela della malinconia più profonda e della più tremenda frivolezza". Eppure nessuno meglio di Strindberg sa, e quando gli conviene dice, che il ruolo fatto su misura per lui è piuttosto quello di Polonio: Polonio, che assecondando col naso in alto le metamorfosi delle nuvole migranti vede prenderne forma con le sue due gobbe un cammello, sgusciarne una donnola e gonfiarsene navigando una maestosa balena.
Non penso solo alla fenomenologia delle nuvole abbozzata nel tardo "Diario occulto", che ne studia la grammatica metà disegnandole e metà narrandole, con l'idea di vedervi il riverbero di paesaggi sconosciuti e imponenti, nascosti oltre la curva dell'orizzonte. Penso invece all'insolito sguardo che devono aver gettato sul mondo quegli occhi troppo chiari, nei tanti ritratti e nelle fotografie dello scrittore: occhi sempre leggermente socchiusi, sempre fissi - verso destra o verso sinistra - oltre l'osservatore, su un punto sconosciuto alle sue spalle. Chi osserva a occhi socchiusi, certo, vede più lontano, ma come in tralice, sotto una luce veloce e radente che appiattisce e uniforma le cose. Uno sguardo filtrato dalle ciglia non si sofferma ad analizzare, ma coglie impressioni d'insieme, effetti generali di movimento e di colore che collegano intorno a un idea fenomeni compositi e diversi, forse contraddittori, forse accostati per caso. Il trasalimento collettivo, per esempio, serpentino o topesco di certe schiene d'impiegati; su una tovaglia bianca sedici mani arrancare repellenti e nervose come granchi sulla spiaggia; due dozzine di maniche di camicia avanzare a cuneo sul campo di fieno come uno stormo di cigni migranti; e i blocchi frastagliati di ghiaccio al largo di un'isola formare archi moreschi, volte romane a botte, torri di manieri medievali in rovina.
Gli occhi socchiusi ignorano le differenze e percepiscono, a sorpresa, le affinità. Scoprono la stessa forma in una noce e in un cervello, in una conchiglia e in un orecchio, in un cuore e in una foglia, filtrano la congestione delle apparenze lasciando affiorare grandi disegni semplici dentro il formicolare di una folla, o nella prospettiva accidentata e affaccendata di una città industriale. Colgono in un'unica occhiata (come fa dalla collina di Mosebacke il giovane protagonista della "Sala Rossa") i fasci di sole che rimbalzano frantumati per i tetti le guglie e i boschi fino al mare lontano, e il vento di maggio che da quel mare torna sbattendo e girando per isole, spiagge e capanne; "ma" in primo piano la serva che toglie l'ovatta dai doppi vetri dell'inverno, e lo stesso vento che irrompe in un turbine a portarsela via, "cosparsa di lustrini, bacche di crespino e petali di rosa canina".
Anche i suoi oli lavorati a pesanti colpi di spatola e forti contrasti di colore - un'impressionante pittura da autodidatta, non però da dilettante, che anticipa molte soluzioni espressioniste - vogliono avere (scrive Strindberg una volta a un amico) almeno un doppio soggetto, uno "essoterico", ed uno, il più importante, "esoterico": un disegno elementare che si coglie solo guardando una seconda volta a distanza o di sbieco. La scoperta, naturalmente, non è solo di Strindberg: costituisce anzi uno dei fondamenti della pittura moderna, sbandierato in cento titoli manifesto, "Impression de soleil levant", "Gelosia", "II grido". Ma la tecnica che fa oscillare la rappresentazione, tenuta rigorosamente in superficie, a ogni momento fra un piano astratto e semplice e un piano fenomenico, complicato e contraddittorio è invece uno dei tratti più nuovi dello Strindberg scrittore. È una tecnica certo maturata soprattutto nella pratica del teatro: dove la fortissima concentrazione indotta dalle luci, dal palcoscenico rialzato e dall'azione limitata a due o tre attori è sempre servita soprattutto a far trasparire, nell'azione complessa, un significato elementare. In termini aristotelici, all'epifania della dianoia nel mythos.
Per sconcertante che possa sembrare, è un fatto che, dietro la maschera di quest'eterno rivoluzionario delle lettere, della scienza e della società, all'ombra dello stendardo di ogni contraddizione sventolato in suo nome per quasi un secolo si nasconde un temperamento amante delle regole e maniacalmente ordinato. Strindberg, lo vediamo appieno soltanto oggi, è fra tante altre cose un esteta con un acuto senso dell'equilibrato e dell'armonico: capace di soffrire fisicamente (come parecchi suoi personaggi, e come Kierkegaard prima di lui) per una candela sbieca o una tendina messa di traverso. E un bohémien sempre assai ben vestito di velluti e di tweed, uno scrittore di libelli infuocati e di satire dissacranti che bada però a tenersi penne, pinze e forbici costantemente allineate sulla lucida scrivania, le risme di carta accuratamente disposte in pile simmetriche. Per un temperamento come il suo, il mondo disperso e discorde che si stende sotto gli occhi di tutti non è solo occasione di indignazione per la volontà e di profonda inquietudine per la ragione: ma un'offesa estetica, un disturbo fisico, una minaccia all'equilibrio della mente, un'intollerabile malattia.