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Stefano Antonelli

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Per introdurre questo “Banksy”, edito da Giunti nel 2021, con le firme di Stefano Antonelli e Gianluca Marziani, potrei iniziare dicendo che è un libro di peso: un chilo e settecento grammi di carta patinata con un’impressionante dotazione iconografica ed uno stile grafico che si adegua perfettamente al soggetto di cui tratta e che ti sorprende pure nella lettura che ti obbliga a cavalcare, saltare, inseguire o a girare intorno ai caratteri di stampa, la cui commistione di fonti e di dimensioni è già di per sé un esempio tipografico di graffito. Giusto perché, come Antonelli e Marziani hanno scritto sul Corriere, questo lavoro parla anche e soprattutto di “una rinnovata produzione visiva che somiglia all’arte tradizionale e ai codici pubblicitari”.

Parliamo quindi di un volume di grande formato, un approfondimento che va oltre la pura divulgazione sull’arte contemporanea e che fa anche la sua bella figura sullo scaffale. Tanto che lo stesso volume lo si può ritrovare, scomposto come i piatti della cucina stellata sperimentale, anche nell’edizione abbinata recentemente con il Corriere della Sera che l’ha porzionata in tre singole portate.

Le recenti mostre, sempre “non autorizzate”, che si sono svolte, e sono tutt’ora in corso anche in Italia, hanno stuzzicato la curiosità di molti su di un autore controverso, della cui persona non si conosce praticamente nulla, salvo invece disporre di trattati interi sulla filosofia che sta dietro le sue opere, non sempre facili da decodificare, ma parte di un movimento artistico che usa prevalentemente gli ambienti urbani per esprimere ciò che pensa e che si pone a mezza strada tra legalità ed illegalità, che espone pubblicamente il proprio pensiero e le proprie idee.

“Un muro è un’arma molto potente. E’ una delle cose peggiori con cui puoi colpire qualcuno”

L’artista Banksy è osservato nel libro con curiosità ed attenzione, a partire dalle radici che trovano nutrimento in parole quali “vandalismo” e “antagonismo”, perché in fondo è quello il brodo di cultura che ha dato vita alla Street Art, che parte come forma di protesta generazionale caotica, eterogenea, quasi istintiva, ma poi si affina, si da canoni non scritti fino a che graffiti e post-graffiti si appropriano di una nuova dimensione, influenzata da una visione critica dell’ecosistema urbano, del modello economico globale e delle disuguaglianze che quest’ultimo genera. Poi il fenomeno esplode e, come affermano gli autori, “tra il 2010 e il 2014 la Street Art coinvolge milioni di utenti sui social network, mietendo un consenso con numeri da musica pop. Nel 2012 esplodono i festival di Street Art in tutta Europa. Un fatto generazionale è ormai diventato fenomeno”.

A spiegarlo, perché nella sua parte iniziale questo libro in fondo ha la necessità di cercare nel passato le risposte del successo dell’artista, sono due autori che la sanno lunga. Gianluca Marziani ha firmato, con il gruppo MetaMorfosi, oltre trenta mostre itineranti dedicate a Banksy, Obey, Keith Haring. Critico e curatore, si occupa di arti visive in forma interdisciplinare. Aperto alle combinazioni linguistiche, alle controculture in emersione, alle sperimentazioni tra arte e tecnologia, ai nuovi modelli espositivi e curatoriali, nel corso degli anni ha agito su molteplici piattaforme operative. Già direttore artistico di Palazzo Collicola Arti Visive a Spoleto, ha curato per nove stagioni le mostre del Festival dei Due Mondi. E’ stato consulente per la Biennale di Venezia 2011. Le le altre due mani che hanno dato forma al libro sono quelle di Stefano Antonelli, anch’egli curatore d’arte, oltre che ricercatore, ideatore di numerosi progetti, inclusa, nel 2016, la prima mostra monografica mai realizzata su Banksy (Fondazione Roma Museo). È inoltre autore di saggi critici e cataloghi d’arte, oltre a essere regista, autore, scrittore e drammaturgo.

Pregevole la parte introduttiva che analizza le origini dell’artista e l’alone di mistero che lo avvolge e che ormai lo caratterizza, tanto che se qualcuno scoprisse la vera identità di Banksy, sono convinto che i più non la vorrebbero conoscere. C’è il rapporto tra arte e successo e persino tra arte e business. Ad esempio nei lavori come quello fatto per i Blur con la realizzazione della copertina di Think Tank. Un aspetto importante per dare completezza a questo lavoro.

Ho fatto alcuni lavori commerciali per pagare le bollette… ho fatto la copertina del disco del Blur, era un buon album e mi portava un sacco di soldi”.

Gli autori si concentrano poi sugli anni di Bristol che rappresentano il momento della presa di coscienza del writer. Si incontrano altri artisti importanti del movimento che hanno certamente influenzato l’evoluzione creativa di Banksy, il suo passaggio da graffiti writer a graffiti artist. Una lettura che ci aiuta a definire un lessico ed una filosofia e che tenta una vera radiografia del mito in cui è il mito stesso, attraverso le parole riprese da interviste e dichiarazioni, che si racconta, anche nella tecnica che egli impiega, come ad esempio l’utilizzo dello stencil necessario per coniugare impronta grafica e velocità di realizzazione richiesta da un’opera borderline, che sovente usa come supporto un muro, quando non una carrozza di un treno o di una metropolitana.

“Avevo sedici anni la prima volta che sconfinai lungo i binari della ferrovia per dipingere su un muro le iniziali della mia crew che era costituita solo da me, dopodiché accadde l’incredibile: assolutamente nulla. Non mi vennero sguinzagliati addosso i dobermann, Dio non mi fulminò dal cielo, e mia madre non si accorse nemmeno che ero uscito. Fu quella notte che scoprii che si poteva essere un writer e farla franca”.

Di grande godibilità in questo libro sono certamente le immagini che, come in ogni opera dedicata all’arte, rappresentano il cuore dell’universo narrativo e che, in quella che gli autori chiamano Timeline, divengono fondamentali per spiegare l’opera dell’artista dal 1998 al 2020. Anzi, oserei dire, indispensabili per sorprenderci sulla straordinaria versatilità di Banksy che si evolve sovente dall’opera grafica di strada alla, se pur raramente in forma ufficiale, esposizione vera e propria, come quella che nel 2000 si è tenuta al Severnshed, un ristorante dell’area portuale di Bristol, dando una chiara indicazione di come le location sovente rappresentino esse stesse la complessità dell’opera nel suo insieme (sul libro sono di esempio quelle di Santa’s Ghetto e Turf War) e che, nelle fotografie scelte dagli autori in qualche modo ci sono testimoniate e rese sempre disponibili. C’è il Giubileo della Regina, c’è Ramallah in Palestina, c’è anche la filosofia dell’auto esposizione in cui l’artista, entrato in grandi musei, appende le sue opere con tanto di targhetta. Ci sono i topi, ma meglio sarebbe chiamarli ratti, impronta iconica di Banksy, le scimmie e la famosissima ragazza con il palloncino nelle sue molteplici, eppur sempre sorprendenti versioni.

Ci sono persino le tele dipinte ad olio che mostrano un aspetto di Banksy che non ci si aspetta e che ammetto sorprende. Sino alle performance più originali e spesso poco conosciute: le sterline di Lady Diana, i CD di Paris Hilton con le cover ritoccate, il pittore di strada a Venezia multato e nel 2018 la plateale triturazione della ragazza col palloncino durante l’asta di Sotheby’s. Sintetizzando potremmo dire che si tratta di un saggio d’arte contemporanea che inquadra molto bene un artista tra i più controversi, misteriosi, per certi versi istrionico, della contemporaneità e che sa farcelo conoscere nelle sue molteplici sfaccettature.

“Nonostante io abbia scritto che il copyright è per i perdenti non azzardatevi a infrangere il mio copyright. Siete avvisati”

Pubblicato su: https://www.territoridicarta.com/blog/anatomia-di-un-artista-banksy-di-stefano-a...
https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0/
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Sagitta61 | Sep 15, 2023 |

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