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Caterina Marrone

Autor von Le lingue utopiche

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Estratto esemplificativo ed interessante

"Utopia: anatomia e breve storia d'una parola. È raro che si possa dire di una parola la sua data di nascita. Ma il termine utopia è uno tra quelli che gode di questo privilegio. La voce apparve nel novembre del 1516 quando per la prima volta uscì, a Lovanio, un volumetto in latino che in seguito avrebbe dato origine a un intero genere letterario e che si intitolava Libellus vere aureus, nec minus salutaris quam festivus de optimo rei publicae statu, deque nova Insula Utopia. Inventore della parola e naturalmente autore del librettino era il celebre umanista inglese, amico di Erasmo da Rotterdam e di Pietro Gilles, Thomas More. Egli oltre che letterato e filosofo fu uomo politico di valore, divenne cancelliere del regno d'Inghilterra ed ebbe onori e fama finché per il suo schierarsi in favore della Chiesa papista non fu decapitato per alto tradimento.

Negli anni che seguirono e man mano che l' Utopia si diffondeva, in Europa si aprì una disputa filologica sull'origine della parola utopia. Alcuni umanisti infatti pensarono che l'etimo greco andasse ricondotto alla negazione ou- "non" e alla parola topos "luogo" e che il significato dunque del nuovo termine coniato da Thomas More equivalesse a "non-luogo". Altri invece, confortati dal fatto che nell'edizione di Basilea del 1518 appare in una sestina aggiunta al testo la parola Eutopia, leggevano dietro la parola un significato differente. Costoro sottolineavano che in greco l' ou- viene premesso solo alle forme negative dei verbi, mentre per i sostantivi si adopera di solito l' a-, l'alfa, il proclitico privativoo. Per questo essi pensavano che se l'interpretazione del termine utopia come "non-luogo" fosse stata corretta, il suo autore sarebbe incorso allora in una svista in quanto non ou-topia ma a-topia avrebbe dovuto chiamarsi l'isola immaginata. Questa critica proponeva allora una diversa analisi del termine: l' u- iniziale della parola, secondo tale linea etimologica, non avrebbe avuto origine dalla particella negativa ou- bensì si sarebbe formato dalla contrazione di eu, "bene", "giusto", "felice". In tal modo utopia sarebbe venuta ad assumere non più il significato di "luogo inesistente" ma al contrario di "regione della felicità e della perfezione".

A questo punto è necessario fare una breve digressione e precisare che quest'idea di perfezione, ricavata dal greco eu, non solo non corrisponde ai sensi che la particella ammette in greco, ma ha anche condotto a considerare l'utopia come un sistema chiuso, immobile, ormai statico nel suo raggiunto ideale. Perché infatti non è possibile andare oltre la perfezione.

In realtà la traduzione latina del tetrastichon, la quartina contenuta nelle prime edizioni dell' Utopia, unico campione di lingua utopiana, appare chiara su questo punto. La società ideale immaginata da More, secondo questi versi, non è ferma e risolta una volta per tutte; essa è invece e soltanto, tra le possibili, quella forse migliore. A conferma di ciò, difatti, l'ultimo verso della quartina utopiana, tradotto in latino, recita Libenter impartio mea, non gravatim accipio meliora, "Volentieri comunico ciò che ho fatto, senza ripugnanza accetto cose migliori".

Il senso di questa frase, com'è evidente, sembra escludere la perfezione e la chiusura che questa comporta; si intuisce invece, l'intenzione, almeno eventuale, di uno scambio verso l'esterno e l'attestazione umile di accettare miglioramenti.

Comunque se si analizza la parola utopia così come lo si è fatto storicamente, tra il significato riconducibile a "non luogo" e quello che vuol dire "regione della felicità (e della perfezione)" quale interpretazione scegliere? Probabilmente nessuna delle due o forse meglio sarebbe accettarle tutte e due poiché non si tratta in questo caso di adottare una linea etimologica piuttosto che un'altra ma di lasciar coesistere entrambe le accezioni della parola in modo che l'una rimandi all'altra e viceversa in un gioco continuo di ambiguità interpretativa. Perché è proprio questa ambiguità che, a nostro avviso, sta a fondamento di quel "gioco utopico" degli umanisti di cui parla André Prévost, uno dei maggiori conoscitori dell'opera del More, nel suo celebre commento all' Utopia moriana. Nell'edizione di Basilea, del 1518 - indispensabile alla comprensione dell' Utopia perché la più completa - si manifesta infatti, egli sostiene, quell'intenso e fervido scambio intellettuale nel quale si erano impegnati umanisti come Erasmo, Guglielmo Budeo, Pietro Gilles e lo stesso More. Tutti costoro prolungando il testo originario dell' Utopia, commentandolo, proponendone varie letture, intrecciarono la tessitura e resero testimonianza di tale "gioco utopico". Man mano che al libretto aureo venivano aggiunti altri testi, chiose e postille di correlazione, gli intellettuali umanisti, con ciò stesso, cominciarono a instaurare quella specie di gioco dell'interpretazione al quale nessun lettore dell' Utopia riesce a sottrarsi. Si stabilì deliberatamente tra questi intellettuali cinquecenteschi, nell'aggiungere note e nell'interpretarne la lettura, una sorta di tacito patto tra iniziati; sicché tra il testo e chi legge (ed eventualmente risponde scrivendo altri testi), come per sottintesa convenzione, si venne a creare una sorta d'intesa allusiva, un'ammiccante tensione interpretativa basata proprio su quell'ambiguità di fondo di cui la parola utopia - in bilico tra le due possibili valenze semantiche eu- e ou- è l'emblema. Così tra lettore e testo si ingaggiò e si ingaggia ancor oggi quell'inevitabile ludus interpretativus d'antico sapore iniziatico, giocato sul filo dell'intelligenza, di cui scrive Prévost.

Perché voler dunque trovare l'etimo "vero" della parola utopia? L'enigma, il dubbio, l'incertezza devono rimanere tali perché la sfida semantica lanciata da More non perda il suo smalto e continui a essere produttiva e feconda. Il mistero deve restare irrisolto perché stimoli di continuo l'immaginazione del lettore e perché questi possa abbandonarsi al sottile gioco intellettuale della decifrazione dei nomi di luoghi, di persone, di funzioni e così via.
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AntonioGallo | Sep 24, 2020 |

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