"Me ne fotto da sempre di tutto e di tutti...
soprattutto quando scrivo canzoni.
Il mio principio
è stato e sarà sempre
chi mi ama mi segua.
Altrimenti senza rancore,
ognuno per la sua strada.
Non faccio, non ho mai
fatto e non farò mai
compromessi su questo!"

[2011] ( )

Esiste una versione di Vasco. E su questo c’erano pochi dubbi. Libro editorialmente molto intelligente, nel momento migliore di Vasco, sotto il profilo dell’interesse mediatico, nel nugolo di libri che lo osannano arriva lui e ci dà la sua versione. Risultato? La versione di Vasco, chiaramente. La cosa più semplice da dire, quella elementare tipo Watson, è che questo libro è una summa di banalità. Ma è una banalità dirlo. Vasco non nasce come fenomeno commerciale, anzi. Vasco emerge all’inizio degli anni Ottanta in un Italia da bere, dicendo che vuole andare in Messico, vuole andare proprio a vedere; e con il fegato spappolato, lontano dai villaggi vacanze con la pasta al sugo nei Caraibi. Ed in oltre trent’anni Vasco ha saputo rivisitare il suo messaggio, utilizzando sempre e solo il linguaggio del rock. La grandezza di Vasco non è nelle parole, né nella musica. Non è un fenomeno né nell’uno né nell’altro. Ma nell’unire parole e musica, nel dare un senso a tutto ciò che un senso non ce l’ha, ecco una possibile versione di Vasco, per chi si perde subito, perché a volte un bicchiere d’acqua può essere immenso come un oceano, Vasco è Vasco. E nonostante un editore insopportabile, chiare lettere, questo sì, simbolo di quest’Italia putrescente che annega nel nuovo secolo, il libretto di Vasco riesce a diventare un gran bel libro, gradevole e leggero, come dovremmo riuscire a vivere questa vita che troppo spesso ci sembra una zavorra, o ci piace immaginarla così. Un messaggio importante in questo libro ci sta, immagino che nessuno ne parlerà, i critici troppo presi dalle fondamentali questioni con Ligabue; il problema della carcerazione preventiva, come mezzo di limitazione delle libertà personali, tutte, in assenza di un processo, giusto o ingiusto che possa essere. Vasco lo disse al concerto di Milano di luglio, allora si riferì all’estensione del fermo di polizia da 48 a 72 ore, ma non fu compreso. Dalla tribuna partirono fischi. Ma chi va a vedere Vasco in concerto per sedersi in tribuna a gustarsi lo spettacolo non ha capito la versione di Vasco: lo show siamo noi. Lui accende i riflettori. Questa è la mia versione di Vasco. ( )