Simenon è un maestro nel tratteggiare atmosfere vivide e suggestive, e questo romanzo non fa eccezione. La vita sonnolenta di una cittadina della provincia francese si dispiega sotto i nostri occhi, con le sue ipocrisie e meschinità.
Lo stile è essenziale ma non scarno: arriva subito al cuore delle situazioni ma lo fa con eleganza e con toni sempre smorzati, anche nei momenti più concitati.
Dal punto di vista formale quindi niente da eccepire, è la sostanza che mi crea qualche perplessità.
Innanzitutto manca una trama vera e propria, si può dire che fino a metà non si capisca dove voglia andare a parare. Dopo finalmente realizziamo che non c'è un intreccio, ma è semplicemente il racconto della maturazione di Alain, che solo dopo la morte capisce davvero chi era suo padre, quando è costretto ad aprire gli occhi sulla realtà che lo circonda.
Potrebbe risultare interessante l'idea di un libro incentrato tutto su una presa di coscienza, il problema è che il messaggio che ne esce fuori lo trovo terribile sotto tutti i punti di vista. Pur volendo mettere da parte il sessismo (e io non voglio), perchè purtroppo va considerato il frutto di quei tempi, resta discutibile l'idealizzazione di un truffatore e ricattatore, con la giustificazione di "essere venuto su dal niente"; anche l'idea che l'onestà sia un valore marginale, frutto di pigrizia e conformismo, mi fa ribollire il sangue.
Insomma dal punto di vista letterario non posso dire che sia un brutto libro, ma va in conflitto con tutti i principi che mi hanno insegnato e con cui sono cresciuta; va da sè che non lo apprezzo e non lo consiglio a nessuno. ( )

Viste le tragiche circostanze in cui si trova ad Alain spetta il compito di uscire all’inconsapevolezza in cui ha sempre vissuto, che è in fondo quella comune a tutti i ragazzi della sua età, e ricostruire un’immagine coerente di suo padre, persona solo apparentemente incoerente, che lui si è volontariamente precluso la possibilità di conoscere; del resto “era un uomo con cui non veniva spontaneo essere espansivi”. La figura del signor Malou, molto più sfaccettata e complessa di quello che appare “in società” fa da specchio al lettore al punto che vi può intravvedere alcune somiglianze con le fisime attuali: la rincorsa di uno status symbol a tutti i costi, anche vivendo sul filo del pericolo e del ridicolo, la corsa ad un riscatto sociale che non vuole accettare compromessi e quindi porta al fallimento per mancata moderazione, l’intreccio affaristico e scandalistico che è alla base di un arricchimento tanto istantaneo quanto stentoreo e volgare. Non è solo il ritratto di un uomo, ma anche di un’intera compagine sociale che vive e si dispera all’insegna dei simboli di una modernità sognata e sfuggente. La magia del Simenon narratore esalta senza eccessivi moralismi ma con grande efficacia l’indagine sociale che conduce attraverso i suoi personaggi. ( )

Eugène Malou est un brasseur d'affaires dynamique et malchanceux. Son suicide d'une balle dans la tête, sur le seuil de la demeure du comte Adrien d'Estier qui lui a refusé une nouvelle avance de fonds, déclenche la crise familiale qui couvait chez les Malou. C'en est fini du train de vie qu'ils affichaient. Pour se faire payer avant de quitter la maison, le maître d'hôtel videra le portefeuille du mort... Alain, le plus jeune fils, est le témoin des tiraillements entre sa mère, femme égoïste, indifférente, et sa sœur Corine, tout aussi insensible ; cette dernière est la maîtresse d'un important chirurgien de la ville, le docteur Fabien, qu'elle accompagne souvent à Paris. Quant à Edgard Malou, le fils aîné, marié et père de famille, il mène une vie honorable et sans problème. Le départ de la mère pour Paris, où elle est entraînée par sa sœur et son beau-frère, met Alain, jusqu'alors insouciant, devant ses responsabilités. Il fuit sa sœur, trouve un emploi à l'imprimerie Jaminet, loge dans une modeste pension de famille. L'homme qu'était son père et que l'existence familiale, ballottée entre des hauts et des bas, ne lui avait pas permis de connaître, il en aura la révélation en retrouvant certains de ses anciens compagnons. C'est le brave Foucret, qui habite Malouville, en bordure du lotissement conçu par Eugène Malou et qui lui doit sa maison. C'est Joseph Bourgues, un ami de jeunesse d'Eugène avec qui il partageait l'idéal des mouvements libertaires d'alors, Bourgues que le dépôt d'une bombe, à Paris, envoya au bagne et à qui Malou procura des papiers et de l'argent lorsqu'il revint en France. Alain apprend ainsi petit à petit que son père avait eu de grands projets de bâtisseur les chantiers abandonnés de Malouville en témoignent encore -, mais qu'il n'avait pas été suivi : d'où les difficultés d'une lutte incessante et l'échec final. Sur ce, autre révélation qui vient de Corine : Eugène Malou, lorsqu'il s'est suicidé, se savait, du jour même, atteint d'un cancer à la gorge. Ce n'est pas tout : Alain perd sa place à cause de la liaison de Corine avec le docteur Fabien dont l'épouse est une amie de Mme Jaminet. Se sentant lâchée par son amant, la jeune fille fait à son frère une scène odieuse où l'autre face des Malou apparaît dans une lumière sordide qui explique à Alain pourquoi on leur est hostile dans cette ville de province. Alain a compris qu'il lui faut la quitter. Il a décidé de tenter, seul, sa chance à Paris. Il sera un homme. Comme son père.